Omelia XXVII Dom A

(Mt 21,33-43)

 


Festa per la Comunità di San Leolino

di Santa Teresa di Gesù Bambino


Ave Maria!

Può darsi che il problema di fede, posto da questa parabola di Gesù, possa più o meno interessarci, dal momento che viviamo in un pluralismo religioso e in un mondo di grandi compromessi tra fede e vita. Ma sta di fatto che, anche nella fede in apparenza molto solida, c’è sempre il rischio di deludere Dio.
La parabola dei “vignaioli omicidi” è, infatti, tanto dura e quasi insopportabile che a noi cristiani, bisogna ammettere, costa molto pensare che un simile avvertimento profetico, rivolto ai capi religiosi del momento, abbia ancora qualcosa a che vedere con noi! Non è facile, per la verità, risalire al racconto originale, ma è fuori dubbio che è simile a quello che oggi leggiamo nella tradizione evangelica. I protagonisti di maggiore rilievo sono, comunque, i contadini incaricati di lavorare la vigna. Il loro comportamento è davvero sinistro: non sono affatto come il padrone che cura la vigna con sollecitudine e moltissimo amore perché non le manchi nulla! In verità, quei lavoratori della vigna non accettano il padrone cui appartiene la vigna. E così, uno dopo l’altro, eliminano i servi che egli invia loro con incredibile pazienza. Alla fine non rispettano neanche suo figlio e, quando arriva, “lo cacciano fuori dalla vigna e lo uccidono”. In sostanza, la loro unica ossessione è il potere sulla vigna e. per conseguenza, di avere “la sua eredità”.

Si tratta di una situazione paradossale e sconcertante al massimo, ma, a pensarci bene, non è tanto fuori dalla realtà: che cosa può fare, in questa situazione, il padrone della vigna? Farla finita con questi vignaioli disonesti e violenti e consegnare la vigna ad altri. La conclusione di Gesù è, in effetti, davvero tragica: “ Io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Tra l’altro, a partire dalla distruzione di Gerusalemme dell’anno 70 d. C., ad opera dei romani, la parabola fu letta come una conferma che la Chiesa aveva preso il posto di Israele, ma non venne mai interpretata come se “nel nuovo Israele” la fedeltà al padrone della vigna fosse garantita una volta per tutte! Al contrario, essa è, e rimane, un grande ed emblematico “avvertimento” per tutti coloro che si sentono al sicuro nella “religione”, dimenticando spesso la vita concreta con le sue scelte e le sue decisioni. E’ il caso, allora, di sottolineare questo fatto: il regno di Dio non è della Chiesa. Non appartiene alla gerarchia. Non è proprietà di questo o di quel teologo. Il suo unico padrone, perché pieno di amore e di sollecitudine, è il Padre. E così nessuno potrà sentirsi proprietario della sua verità né del suo Spirito. Siamo, dunque, invitati al “discernimento” primo di tutto su noi stessi, anzi ad un continuo “esame di coscienza”, circa non solo lo stato della nostra fede verso Dio, ma anche sulle reali “motivazioni” che ci spingono a servirlo nei nostri fratelli e sorelle. Quanto di me, troppo di me, c’è nel mio così detto apostolato? Cerco il Signore, anche negli altri, oppure cerco le mie gratificazioni, compensazioni e così via?

In realtà, Dio ha corso un grandissimo rischio nell’affidare a noi il suo regno e continua a correrlo anche oggi: possiamo essere dei veri amici del suo amore, oppure traditori di questo amore. Non c’è via di mezzo. E così la più grande tragedia che può accadere alla fede cristiana, di oggi e di sempre, è che si uccida la voce dei profeti e, quindi, i sommi sacerdoti, gli esperti delle cose di Dio, arrivino a sentirsi i padroni della vigna. Per cui, alla resa dei conti, “cacciamo fuori” il Figlio, Gesù, fino a soffocarne il vero Spirito. Da qui il grande avvertimento di Gesù: se la Chiesa non corrisponde alle speranze che il suo Signore ha riposto in lei, Dio aprirà nuove vie di salvezza in persone o in popoli che producano veri frutti di fede e di amore. In questo senso, non c’è da meravigliarsi o da scandalizzarsi per quanto può avvenire anche nella Chiesa stessa.

D’altra parte, il pericolo è sempre lo stesso. Anche Israele si sentiva al sicuro. Aveva le Scritture. Possedeva il Tempio e nel quale si celebrava scrupolosamente il culto. Si predicava la Legge e si difendevano le istituzioni. Tutto sommato, non sembrava necessario qualcosa di nuovo. Bastava mantenere tutto in ordine. In realtà, è quanto di più pericoloso possa accadere in una religione o in una fede e cioè che venga soffocata la profezia, mentre i sacerdoti, sentendosi i padroni della “vigna del Signore”, vogliono amministrarla e guidarla come una loro proprietà. E’ questo anche il nostro pericolo: pensare che la fedeltà della Chiesa sia garantita dalla semplice appartenenza e non dalla coerenza della vita. Sentirci, insomma, sicuri di possedere Cristo! Tuttavia, nessuno possiede Dio. La sua vigna appartiene soltanto a Lui. E se la Chiesa, ahimé, non produce i frutti che il Signore spera, Egli continuerà ad aprire nuove vie di salvezza, mettendola talvolta anche in ginocchio, purché impari che solo da Lui viene la salvezza. E che bisogna impararla giorno dopo giorno, con la preghiera assidua, il desiderio di ascoltare sempre la sua voce e mettendo Dio al primo posto in ogni cosa.

Diceva Pascal, un grande cercatore di Dio oltre che grande filosofo: “Quel che in esso (il mondo) appare non indica né un’esclusione totale né una presenza manifesta della divinità, ma la presenza di un Dio che si nasconde a coloro che lo tentano e si rivela a coloro che lo cercano” (Pascal, Pensieri, 556, 557). Dio parla e si rivela a coloro che lo cercano! Il che vuol dire che, nella fede, siamo come i bambini che aspettano tutto dai loro genitori e non è consentita a loro nessuna pretesa di possedere quell’amore che li fa vivere ed esistere. E anche Gesù diceva la stessa cosa: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. In questo inesauribile desiderio di Dio possiamo incontrare molte difficoltà e talvolta anche il silenzio, il dubbio, l’arresto. Ma se il nostro cuore continua a credere e a sperare, allora ci rendiamo conto che è il Signore che ci sostiene proprio nei momenti più duri della prova. Diversamente, gli esseri umani, i credenti, immuni dal dubbio o dalla fatica di credere, finiscono per costruire un mondo granitico che poi crollerà alla prima occasione.

Tutto questo ci riporta oggi alla memoria liturgica di Santa Teresa di Gesù Bambino (1873-1897), speciale Patrona della nostra Comunità di San Leolino, e che quest’anno celebriamo, a causa del coronavirus, in una forma piuttosto intima.

Ventiquattro anni di vita, di cui nove passati al Carmelo di Lisieux. Quando si trattò di beatificarla, una suora del Carmelo esclamò: “Non capisco perché si parli di beatificarla! Non ha fatto che cose molte ordinarie”. E si può sorridere di fronte a questa esclamazione. Dietro tale mancanza di lucidità, c’è invece una incomparabile definizione della santità di Teresa! E’ una santa, infatti, del quotidiano di Dio, nella sua piccola città normanna di Lisieux: questa semplicità, questo quotidiano di Teresa sono appunto il trionfo dell’umiltà di Teresa. Quell’umiltà che altro non è se non la sua grande ed eroica fedeltà all’ascolto e all’invocazione continua di Gesù nella sua vita, nel suo quotidiano! Certo, abbiamo le sue opere, i suoi manoscritti autobiografici. Sappiamo tutto di lei, ma in realtà non sappiamo nulla di quello che Teresa e lo Spirito Santo hanno voluto lasciarci intravedere. Dunque, non inganniamoci mai, pensando di conoscere ogni cosa dei santi o delle sante. Di fronte a queste mirabili opere di Dio, noi inciampiamo se dimentichiamo di utilizzare la sola chiave possibile della santità: quella della nostra vita quotidiana. Infatti bisogna leggere e meditare il messaggio della vita e dell’esperienza cristiana di Teresa di Lisieux giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, perché è un messaggio limpidissimo e al contempo estremamente difficile, centrato com’è sull’Amore di Dio che smuove le montagne, ma anche sull’amore della creatura umana che risponde a quell’amore con una passione profonda e duratura. Teresa di Lisieux è un mistero di Dio, lei così intelligente, avveduta e così seria non svela tanto facilmente il segreto della sua vita: gli studiosi o i teologi, - ed è questo il loro compito – socchiudono appena le porte della sua casa interiore. Entrano soltanto i semplici, i poveri di cuore o, per meglio dire, coloro che hanno fame e sete di Dio attraverso ciò che comunica loro la forza e la presenza di Gesù.
Oggi ricordiamo anche la memoria di San Francesco d’Assisi. E bisogna pensare che il secondo nome di Teresa era proprio Francesca. Qualcosa ancora di misterioso e di luminoso lega la spiritualità carmelitana e quella francescana: Francesco e Teresa hanno vissuto il loro quotidiano nella adesione totale a Gesù, secondo lo spirito di san Paolo: “Mi ha amato e ha dato sè stesso per me…Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Di fatto, noi spesso releghiamo la vita di fede ad alcuni momenti speciali ( ritiri, meditazioni, e anche celebrazioni eucaristiche) ma sta di fatto che così facendo noi viviamo una fede altrettanto “parziale”. In realtà, la fede va vissuta ogni momento, soprattutto nel quotidiano, qualunque esso sia. Francesco e Teresa hanno vissuto entrambi, in contesti diversi, la grande santità che è quella di vivere attaccati alla persona di Gesù. Di fatto, la “povertà” di Francesco non è una categoria di devozione, bensì proprio la sequela di Gesù che ha messo Dio al primissimo posto nella vita, costi quel che costi. Il Vangelo, diceva Francesco, cioè Gesù, senza commenti o considerazioni a nostro uso e consumo.
Dopo tutto, Teresa è stata definita la “più grande santa dei tempi moderni” (Pio XI), ma perché è anche la patrona dei tempi ordinari della vita, quelli più difficili, come accade anche ai nostri giorni. Dottore della Chiesa, Teresa ci ricorda (e dobbiamo pregarla in questo senso) che quando la fede sembra molto difficile, bisogna sperare contro ogni speranza. Come Francesco d’Assisi che sperò fino all’ultimo, come ci dimostra l’esperienza alla Verna delle stimmate. Amen.


don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 3 ottobre 2020

 

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